Zanica/Padergnone, palazzo Albani/Mascheretti: Giopì e Margì, sua moglie, nella rappresentazione classica delle maschere bergamasche - Foto Luigi Minuti
Racconta la leggenda che “Giopì sarebbe nato a Zanica, il 29 febbraio di un anno bisestile cominciato male, per via dell’inverno talmente rigido che, si tramanda, faceva ghiacciare nei secchi il latte appena munto”. Il neonato assomigliava in tutto e per tutto ai suoi genitori, che non erano di certo esempi di bellezza. Aveva un nasone enorme come quello del padre e due orecchie a sventola come quelle della madre; inoltre, caso più unico che raro, aveva tre strane protuberanze sotto il mento, di cui nessuno seppe mai spiegare l’origine.
Maria Scatolera, la madre, fu subito circondata da un gruppo di comari petulanti che, come d’obbligo, cominciarono a congratularsi con lei. – che bel bambino! – disse con una smorfia la Bigia. – È tutto il suo papà. – Proprio un bel maschietto! – aggiunse la Togna arricciando il naso. – È tale e quale la mamma. – Maria Scatolera ne era orgogliosissima: erano tanti anni che desiderava un bambino e, proprio quando non se l’aspettava più, ecco che il Signore le aveva fatto la grazia. Maria Scatolera e Bortolo Socalonga, suo marito, vivevano a Zanica in una casa situata in fondo a via Brusapadella. Non erano certamente ricchi, ma con qualche gallina e una ventina di conigli, riuscivano a tirare avanti.
Altre famiglie vivevano in quella casa: chi aveva tre stanze, chi due; Maria e Bortolo soltanto una, che serviva loro da cucina e da camera da letto. Tutte le stanze davano su un ampio cortile, sempre pieno di animali di ogni specie compreso un asino, che si chiamava Giosep, cui avevano insegnato a fare da ‘cane da guardia’, quando uno degli animali si avvicinava al portone per uscire, l’asino lo inseguiva, poi gli si parava davanti pronto a scalciare e lo costringeva a tornare indietro.
Quest’asino tanto intelligente morì di vecchiaia la mattina stessa che venne al mondo il bambino di Bortolo e Maria il che li facilitò nella scelta del nome. - Lo chiameremo Gioseppino, in memoria del povero Giosep che è morto stamattina, disse Bortolo. - È un nome troppo lungo, - fece notare Maria – abbreviamolo un po’… Gioppino! Ti piace Gioppino? – Lo avrei giurato! – urlò Bortolo. – quello che dico io non va mai bene! – Non alzare la voce, hai capito? il bambino è mio e lo chiamo come voglio io! - - Chi è che comanda in questa casa? Il padrone sono io e decido io! – Così, d’amore e d’accordo, Maria e Bortolo portarono il figlio al parroco e lo fecero battezzare col nome di Gioppino.
Gioppino fu persona reale, vissuta ai tempi difficili di transizione fra il regno Lombardo Veneto e l’Italia unita e tuttavia fu anche una creazione tipicamente popolare, una maschera che ha saputo mirabilmente fondere in lui la sua vena spiritosa, la sua spontanea arguzia, i suoi gesti grossolani ma sempre farseschi.
Come maschera Gioppino non è che una caricatura del nostro popolo contadino, da cui ha preso il linguaggio grossolano, esagerandone i difetti e la rusticità, all’apparenza sempliciotto, ma in verità assennato e scaltro è padrone delle scene e delle situazioni, che quasi sempre domina a colpi di bastone, sempre affamato, di maniere e di linguaggio rozzi, ma con tanto cuore.
Il mondo nel quale vive il Giopì era diverso da quello di oggi; i burattinai andavano non solo nelle piazze, ma anche nelle trattorie, negli oratori, nei cortili delle case coloniche e non per caso le loro esibizioni coincidevano col periodo del raccolto. In questo periodo infatti i contadini avevano qualche lira in più da spendere ma, a volte, erano compensati in natura (uova, vino, cotechini ecc). I loro spettacoli si tenevano tutti i giorni ad eccezione del venerdì perché dedicato al trasferimento da un paese all’altro o al riposo.
Luigi Minuti
Storico e amante della nostra “bassa”